Tentativo di conciliazione e deposito verbali
Nell’ arco di tempo che va dal 2010 al 2015 ,la normativa in materia di tentativo di conciliazione in caso di licenziamento dei lavoratori dipendenti risulta novellata ad opera di tre diversi provvedimenti legislativi ,i cui aspetti si precisano di seguito . Con la legge n. 183 (cd. Collegato Lavoro), in vigore dal 24 novembre 2010, si concluse , dopo poco più di un decennio l’esperienza del tentativo obbligatorio di conciliazione presso le Direzioni provinciali del lavoro, avviato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e pertanto il tentativo di conciliazione è tornato ad essere facoltativo ,mentre rimase la obbligatorietà dello stesso unicamente in relazione ai contratti certificati in base al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, In tali casi, peraltro, il tentativo di conciliazione si deve svolgere – nelle modalità descritte dall’art. 410 c.p.c. come novellato dal Collegato Lavoro ed in conformità ai regolamenti delle commissioni di certificazione – presso la sede medesima che ha emanato il provvedimento di certificazione. Si deve ricordare, a tale riguardo, come, in questi casi, il tentativo risulta obbligatorio non solo nei confronti delle parti che hanno sottoscritto il contratto certificato, ma anche – in ragione della efficacia giuridica della certificazione ai sensi dell’art. 79 d.lgs. n. 276/2003 – nei confronti dei terzi interessati (ad esempio gli enti amministrativi) che intendano agire in giudizio contro l’atto di certificazione. . Il testo dell’art. 410 c.p.c. in vigore dal 24 novembre 2010 introdusse per il tentativo facoltativo di conciliazione, valido sia per il settore privato che per quello pubblico, numerose innovazioni per il ruolo delle Direzione provinciali (ora territoriali) del lavoro, presso le sedi della Commissione provinciale di conciliazione. Commissione e sottocommissioni Anzitutto è da evidenziare che rispetto alla composizione della Commissione provinciale di conciliazione plenaria (di norma composta dal Direttore o da altro funzionario della Direzione provinciale del lavoro che la presiede, nonché da quattro rappresentanti dei lavoratori e altrettanti dei datori di lavoro) e, conseguentemente, delle sottocommissioni (ridotte a tre membri, il presidente più un rappresentante per i lavoratori e uno per i datori di lavoro , con riferimento alle parti sociali, componenti di diritto, infatti, la rappresentatività delle organizzazioni titolari a nominare i commissari non è più da verificarsi su base nazionale, ma a livello territoriale e di conseguenza ora si dovrà procedere alla costituzione delle nuove Commissioni e sottocommissioni e che quelle esistenti secondo la vecchia composizione potranno operare in regime di prorogatio , provvedendo alla trattazione delle istanze già presentate e incardinate presso la Commissione o le sottocommissioni . . Nuova procedura per attivare il tentativo La procedura per l’attivazione del tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione risulta profondamente modificata. Infatti , si prevedeva che la richiesta di conciliazione debitamente compilata deve essere sottoscritta da chi la propone (lavoratore, datore di lavoro o committente) in originale, consegnata a mano o spedita con raccomandata A/R o inviata a mezzo e-mail certificata alla DPL. Inoltre essa doveva essere, in copia, consegnata a mano ovvero spedita con raccomandata A/R o inviata a mezzo e-mail certificata alla controparte. Tuttavia , allorquando le parti hanno già preventivamente raggiunto una intesa, la richiesta si poteva presentare congiuntamente nelle stesse modalità anzidette. La richiesta di conciliazione interrompeva il decorso della prescrizione e sospendeva il decorso di ogni termine di decadenza per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione.. Compete ai funzionari della Direzione provinciale (ora territoriale) del lavoro verificare il possesso della richiesta dei contenuti essenziali richiesti, affinché gli stessi eventualmente possano essere integrati, qualora siano parzialmente omessi, mentre la totale mancanza degli elementi indicati rendeva la richiesta improcedibile, salvo che la controparte si costituiva presentando le proprie memorie, in tal caso l’Ufficio territoriale informava il ricorrente affinché proceda ad integrare la propria richiesta. Svolgimento del tentativo La richiesta di conciliazione regolarmente inviata o presentata a far data dal 24 novembre 2010 attivava una procedura fortemente cadenzata: – entro 20 giorni dalla richiesta può aversi l’eventuale deposito della memoria di controparte contenente le rispettive controdeduzioni; – entro 10 giorni dal deposito della memoria di controparte i funzionari addetti della Direzione provinciale devono procedere a convocare le parti per la loro comparizione dinanzi alla Commissione o sottocommissione; – entro 30 giorni dalla convocazione delle parti deve svolgersi il tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione o sottocommissione (art. 410, comma 7). .Espletato il tentativo, se la conciliazione riesce, anche parzialmente, si redige processo verbale sottoscritto dalle parti e dalla Commissione (o sottocommissione) nel suo complesso. Il giudice, su istanza di parte, dichiara esecutivo il verbale. Se non si raggiunge l’accordo, la Commissione (o sottocommissione) formula una proposta conciliativa per la definizione della controversia da inserire obbligatoriamente nel verbale, con espressa indicazione delle posizioni manifestate da ambo le parti (art. 411, comma 2). Il giudice nel successivo giudizio terrà conto del comportamento tenuto dalle parti qualora la proposta formulata sia stata rifiutata senza una adeguata motivazione. Tra gli interventi di manutenzione apportati dalla legge n.92/12 e s.m.i. ,uno ha riguardato la procedura conciliativa preventiva presso la DTL ,da attivare e svolgere prima dei licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo da parte di datore di lavoro ,anche non imprenditore ,soggetto all’art.18 dello Statuto dei lavoratori. Infatti ,come è noto, la citata legge di riforma negli artt. 37 e segg. ha modificato l’art.7 della legge n.604/66, prevedendo l’obbligo, in caso di licenziamento per giustificato motivo a carico del datore soggetto all’art.18 Statuto lavoratori , prima d’intimare il recesso, di comunicare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e per conoscenza al lavoratore, l’intenzione di procedere al licenziamento , indicando i relativi motivi, nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. Ricevuta tale comunicazione ,la Direzione territoriale del lavoro provvede alla convocazione di datore di lavoro e lavoratore nel termine perentorio di sette giorni per un incontro dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile. La disposizione peraltro precisa che la comunicazione contenente l’invito si considera validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. Nella riunione per la conciliazione ,le parti possono farsi assistere dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. La procedura di cui si parla, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di conciliazione , procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di sette giorni dalla ricezione della richiesta , il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), che pertanto compete ricevere , Si stabilisce altresì che il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile., Infine e da tener presente la previsione secondo cui in caso di legittimo e documentato impedimento del lavoratore a presenziare all’incontro di conciliazione la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni. I datori di lavoro che rientrano nella procedura legislativa Vi rientrano tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, occupano alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se si tratta di imprenditori agricoli. Ricadono nella previsione normativa altresì, i datori di lavoro – che siano o meno imprenditori ,che – occupano, nello stesso comune, più di 15 lavoratori, anche se in ogni singola unità produttiva i lavoratori sono meno di 15. Se, invece, i lavoratori occupati sono oltre 60 sull’intero territorio nazionale, le regole in commento, si applicano a prescindere dalla dislocazione del personale nelle varie unità produttive di cui si compone l’azienda. Il calcolo dei lavoratori, per verificare se il datore di lavoro rientra o meno, si effettua tenendo conto dei dipendenti a tempo pieno e i lavoratori part time in funzione dell’orario effettivamente svolto. Si considerano anche i lavoratori delle società cooperative di produzione e lavoro (con contratto di lavoro subordinato), gli sportivi professionisti, i lavoratori a domicilio, gli intermittenti (in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ogni semestre) e i lavoratori con rapporto ripartito (in relazione all’orario svolto). Peraltro dal computo si possono escludere il coniuge e i parenti entro il secondo grado, sia in linea diretta che collaterale ed inoltre, gli apprendisti, i contratti di inserimento (sino al 31.12.2013) e di reinserimento, i lavoratori impegnati in lavori socialmente utili (Lsu)ed i lavoratori somministrati non rientranti nell’organico dell’utilizzatore. Licenziamenti che rientrano nell’obbligo Il licenziamento a cui si applica l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione, è quello riconducibile a un giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3 (seconda parte), della legge n. 604/1966 e ,quindi ,si tratta della risoluzione unilaterale a giudizio insindacabile del datore di lavoro ,ossia di un recesso determinato da ragioni connesse all’attività produttiva. A titolo di esempio, non esaustivo, sono ricompresi: – la soppressione del posto di lavoro; – il ritiro del porto d’armi alle guardie giurate; – la sopravvenuta inidoneità al lavoro; – il ritiro della tessera di ingresso agli spazi aeroportuali; – la privazione della libertà personale ecc. E’ da rimarcare che il tentativo di conciliazione risulta obbligatorio anche laddove il datore di lavoro ha intenzione di procedere a ridurre il personale collettivamente ,sempre che pur dichiarando il datore di lavoro di voler effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in realtà non raggiunge la predetta soglia individuata dalla legge n. 223/1991 ,da cui sono individuati i licenziamenti collettivi, ricadendo così automaticamente nei cosiddetti licenziamenti plurimi. In tale circostanza spettera’ alla Direzione territoriale del lavoro , verificato che le richieste di conciliazione presentate dal datore di lavoro sono più di 4 , non dar corso alla procedura , invitando l’azienda al rispetto delle formalità dettate dalla legge n. 223/1991. Infine dalla procedura sono esclusi i dirigenti in quanto non destinatari della legge n. 604/1966 ,così come dichiara l’ articolo 10 della medesima . Licenziamenti esclusi dall’obbligo della procedura di conciliazione Il comma 4 dell’art.7 del decreto legge n.76/13 ,convertito in legge n.99/13 ha sostituito il testo del precedente comma 6 dell’art.7 della legge n.604/66 ,con il seguente: “La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all’art.2110 c. c. nonche’ per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all’art.2 ,comma 34, della legge n.92/12. La stessa procedura durante la quale le parti ,con la partecipazione attiva della Commissione di cui al comma 3 ,procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso ,si conclude ventro 20 giorni dal momento in cui la DTL ha trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva l’ipotesi in cui le parti ,di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque decorso il termine di cui al comma 3,il datore di lavoro puo’ comunicare il licenziamento al lavoratore .La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell’art.116 del c p c .” La disposizione sopra esposta introduce i seguenti casi in cui il tentativo di conciliazione presso la DTL non va attivata: 1) licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia ai sensi dell’art.2110 cc; 2) licenziamento per cambio d’appalto , purche’ al licenziamento sia seguita l’assunzione presso altro datore di lavoro ,in applicazione di clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che garantiscono la continuita’ occupazionale ; 3) licenziamento per completamento delle attivita’ e chiusura dei cantieri nel settore delle costruzioni edili. L’innovazione normativa era necessaria ed attesa ,perche’ su detti aspetti si sono registrate interpretazioni della legge contrapposte In merito si evidenzia che il Ministero del Lavoro si era espresso per l’esclusione del tentativo di conciliazione nel caso del licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia nella circolare n.3 del 16.1.2013 ,in cui si legge non essere necessario il tentativo in quanto l’esame, svolto dalle parti prima del recesso, deve riguardare esclusivamente fatti inerenti l’organizzazione e l’attività produttiva e non questioni attinenti la persona del lavoratore. Nel frattempo però sono intervenute sulla questione due decisioni contraddittorie del Tribunale di Milano, una delle quali ha negato l’applicabilita’ e l’altra ha stabilito l’obbligo della preventiva comunicazione alla DTL dell’intenzione datoriale di licenziamento per il superamento del comporto. Circa le altre due fattispecie, giova ricordare che la riforma Fornero gia’ esclude le stesse dal pagamento a carico del datore di lavoro del contributo dell’Aspi, ma a parte questo ,si tratta di esclusioni del tutto ovvie ,considerato che si è in presenza di situazioni per cui la disciplina contrattuale e legislativa appare sufficentemente garantista per i lavoratori che perdono il lavoro. Infatti , nel primo caso i contratti collettivi dispongono la conservazione del posto di lavoro e quindi e’ del tutto superfluo il tentativo di conciliazione per una perdita di lavoro che di fatto non si realizzera’.Altrettanto dicasi per l’ultima fattispecie ,per cui sussiste una specifica disciplina in materia di trattamenti di disoccupazione. Modalità e tempi tentativo obbligatorio conciliazione Nella lettera alla DTL , oltre a comunicare la volontà di licenziare, si devono indicare le motivazioni e le eventuali misure per una sua possibile ricollocazione Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non conosca l’ultimo domicilio del lavoratore, la comunicazione si intende regolarmente trasmessa se inviata all’ultimo indirizzo che il dipendente gli ha comunicato. È ammessa anche la consegna brevi-manu; in tal caso è opportuno raccogliere la firma del lavoratore su una copia della comunicazione, a titolo di ricevuta (meglio ancora se il lavoratore indica anche la data di ricevimento). La procedura si avvia al momento in cui la Dtl riceve la comunicazione e l’unico organismo deputato ad agire è la Commissione di conciliazione operante presso la Direzione territoriale del lavoro. L’inoltro alla Dtl può avvenire tramite lettera raccomandata ma anche per mezzo di posta elettronica certificata. Dopo aver ricevuto la comunicazione, la Dtl invita le parti a comparire. La convocazione deve essere inviata entro 7 giorni (termine perentorio) che decorrono dalla data di ricezione della comunicazione. Poiché, per espressa previsione normativa, la procedura si deve concludere entro 20 giorni dalla data di trasmissione della convocazione, l’impegno delle Dtl è quello di non sforare i termini al fine di non vanificarla. Se le parti (datore di lavoro e lavoratore) non si presentano il giorno in cui è fissato il tentativo di conciliazione, il giudice ne tiene conto ai fini della formazione della prova. Appare verosimile sostenere che, con questa modifica, introdotta dal dec.legge n.76/13, si sia voluto rafforzare il valore della conciliazione pre-licenziamento in chiave di strumento per evitare il contenzioso post-cessazione e contribuire a decongestionare le aule di giustizia . Sin qui le modifiche apportate dal decreto legge n. 76/2013 e che costituiscono le novità rispetto all’impianto normativo preesistente. Per completezza, ripercorriamo la norma di riferimento al fine di delineare lo scenario complessivo. Se una delle parti, o entrambe, non si presentano la Commissione redige un verbale di assenza. Oltre alle conseguenze sul piano giudiziario connesse alla mancata presentazione delle parti (di cui si è già detto), va tenuto presente che l’assenza del lavoratore pone il datore di lavoro nella condizione di procedere al licenziamento; la medesima situazione non è configurabile se è il datore di lavoro a non presentarsi. Quanto alla possibilità di farsi rappresentare, va ricordato che quest’ultima è ammessa da parte delle organizzazioni di rappresentanza (a cui le parti sono iscritte o hanno conferito mandato) oppure da un componente della Rsa o della Rsu, da un avvocato o da un consulente del lavoro iscritti all’Ordine professionale. I rappresentanti del datore di lavoro e/o del lavoratore devono essere muniti di delega autenticata. Se il lavoratore non si presenta ma è in grado di dimostrare che l’assenza è legittima e documentata, la procedura si sospende per un massimo di 15 giorni. L’impedimento può anche essere autocertificato dal lavoratore. Si può trattare di malattia ma anche di un evento collegato alla famiglia del lavoratore che trovi una giustificazione nei casi di tutela previsti dalla legge n. 104/1992. Del sopraggiunto impedimento va data immediata notizia alla Commissione di conciliazione che – valutata la circostanza e constatata la validità della motivazione addotta a sostegno dell’assenza – esprime parere positivo alla sospensione, per il tempo richiesto. Come già accennato i tempi della procedura sono stretti e individuati dalla norma in modo ferreo. La previsione normativa non offre spunti per eventuali suoi ampliamenti (tranne quello – già citato – connesso alla legittima e documentata assenza del lavoratore). La fine della procedura è individuata in 20 giorni dalla data di trasmissione della convocazione delle parti, inviata dalla Dtl. In particolare, è opportuno tenere presente che nei 20 giorni (durata massima della procedura) si devono inserire anche i giorni utili per la ricezione della raccomandata. In presenza di una casella di posta elettronica certificata, si può fare un doppio invio e, in tal caso, il termine dei 20 giorni decorre immediatamente. L’impossibilità di dilatare i tempi di svolgimento della procedura, ovviamente, esercita tutta la sua influenza nell’ipotesi un cui tra le parti non vi sia un diverso intendimento. E’ pacifico ,infatti, che le stesse – anche su richiesta della Commissione – possono prevedere, di comune accordo, un differimento dei termini di conclusione del tentativo di conciliazione, nell’ipotesi in cui si profili all’orizzonte un possibile accordo che necessita di una maggiore e più approfondita riflessione. Di tale volontà delle parti, la Commissione deve dare atto in un verbale di differimento che, tuttavia, non le vincola a una necessaria conclusione negoziata; il procedimento, infatti, si potrà, comunque, chiudere con un mancato accordo. Se le parti non trovano un’intesa, ovvero una delle due parti abbandona la procedura, il tentativo di conciliazione fallisce e la Commissione deve verbalizzarne analiticamente la dinamica. La mancata conciliazione pone il datore di lavoro nella condizione di procedere al licenziamento del lavoratore. Analogamente, qualora (nei 7 giorni successivi al ricevimento della comunicazione da parte della Dtl) non sia stato recapitato, al datore di lavoro, l’invito a presentarsi da parte della Commissione, egli potrà procedere a risolvere il rapporto di lavoro. Il verbale che la Commissione ha l’obbligo di redigere, in caso di mancata conciliazione, deve essere ben argomentato. Ciò, in particolare, in quanto la legge stabilisce che il giudice deve valutare il comportamento delle parti durante la procedura (desumendolo dal verbale di mancato accordo) ai fini della determinazione dell’indennità risarcitoria (art. 18, comma 7, legge n. 300/1970) e per la determinazione delle spese di giudizio (articoli 91 e 92 c.p.c.). Dal verbale si deve desumere, con sufficiente approssimazione, il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa , nel senso che , dall’atto dovranno emergere alcune questioni sostanziali riferibili a eccezioni sollevate dal lavoratore o da chi lo assiste (per esempio: si ritiene che il licenziamento prospettato non sia per giustificato motivo oggettivo ma discriminatorio) o alla assoluta indisponibilità a trovare una soluzione di natura economica alla controversia o ad accettare soluzioni alternative al recesso. Terminata la procedura, in caso di mancato accordo, il datore di lavoro può procedere a licenziare il lavoratore. Il recesso decorre dal momento della comunicazione di avvio della procedura; vale a dire dal giorno di ricezione, da parte della Direzione territoriale del lavoro, della comunicazione inviata dal datore di lavoro. Resta fermo, ovviamente, il diritto del lavoratore all’eventuale preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare al Centro per l’impiego la cessazione del rapporto di lavoro. In relazione alla data di licenziamento da indicare nella comunicazione telematica, il Ministero del lavoro ha precisato che gli effetti retroattivi del licenziamento non devono incidere sui termini di effettuazione dell’obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego. Ne deriva che i 5 giorni decorrono dalla cessazione effettiva del rapporto di lavoro anche se nel modulo informatico va indicata la data da cui si producono gli effetti del licenziamento. E’ opportuno tenere presente che il licenziamento resta sospeso in caso di impedimento determinato da un infortunio occorso sul lavoro. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, all’esito della procedura di conciliazione obbligatoria di cui si tratta, permette al lavoratore di accedere all’Aspi. Il datore di lavoro, deve versare il contributo Aspi all’Inps , previsto per i casi di cessazione dei rapporti a tempo indeterminato. Trattandosi di una risoluzione consensuale, si dovrebbe provvedere alla convalida delle dimissioni (nelle modalità introdotte dalla riforma del mercato del lavoro) ma, a fini esemplificativi, la sede di sottoscrizione dell’accordo (dinanzi alla Commissione di conciliazione) si intende esaustiva e soddisfacente rispetto all’adempimento della convalida che non deve essere ripetuta. Dal 7 marzo 2015 ,il decreto leg.vo n.23/15 ,approvato per dare attuazione alla riforma di cui alla legge n.183/2014 ,all’art.6 ha introdotto un nuova tipologia di conciliazione , che si applica nei casi di preavviso di licenziamento a carico dei lavoratori rientranti nelle così dette tutele crescenti . Per evitare di andare in giudizio , si potrà fare ricorso alla nuova conciliazione facoltativa incentivata. In questo caso il datore di lavoro offre una somma esente da imposizione fiscale e contributiva pari ad un mese per ogni anno di servizio, non inferiore a due e sino ad un massimo di diciotto mensilità. Con l’accettazione il lavoratore rinuncia alla causa. Pertanto ,in caso di licenziamento dei lavoratori assunti dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame come operai ,impiegati o quadri , al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento( 60 giorni dal ricevimento della comunicazione di licenziamento ) , in una delle sedi di cui all’articolo 2113, comma 4, cod. civ.,(Giudice lavoro, Commissione Provinciale di Conciliazione ed in sede sindacale) ed all’articolo 82, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276(Commissioni di certificazione), un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento , anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. N.B. Per i datori non imprenditori e per quelli che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, Statuto dei lavoratori – l’ammontare dell’importo è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite delle 6 mensilità Peraltro, si evidenzia che il comma 3 dell’art.6 del decreto stabilisce che : 1) il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull’attuazione della suddetta disposizione. 2) a tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all’articolo 4-bis dec.leg.vo n.181/2000 è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1, la cui omissione è assoggettata alla medesima sanzione prevista per l’omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4bis.(sanzione amministrativa di importo variabile da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.) Stante la previsione che il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria deve essere riformulato in sede istituzionale ,si segnala la nota del MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI – Nota 27 maggio 2015, n. 2788 ,contenente le specifiche istruzioni operative per provvedere alla comunicazione on line dell’offerta di conciliazione ,facendo uso del previsto modello telematico ,disponibile dall’1.6.2015 nella sezione ADEMPIMENTI ” del portale Clic lavoro ,denominata UNILAV CONCILIAZIONE.
Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo di cui all’articolo 6: offerta di conciliazione, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa che subentra nell’appalto si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata. 7) Computo e misura delle indennità per frazioni di anno. Per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità e l’importo di cui all’articolo 6 (Offerta di Conciliazione ), sono riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.
8) Piccole imprese ed organizzazioni di tendenza. Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui all’art.6 del decreto. Leg.vo n.23/15. Premesso quanto sopra ,si segnala la lettera protocollo n.5199 del 16 marzo del MLPS ,in cui si sostiene che le procedure di conciliazione possono esplicarsi solo nelle sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative. La questione si e' posta quando una organizzazione sindacale si è vista respingere il deposito del verbale di conciliazione in quanto non risultava firmataria di contratti collettivi di lavoro. Il predetto diniego è fondato proprio sulla revisione dell’articolo 410 del codice di procedura civile a opera dell’articolo 31 della legge 183/2010 il quale, a differenza della precedente formulazione, non contempla più il riferimento alle conciliazioni in sede sindacale, per cui sarebbe ormai superato l’iter relativo alla verifica del rispetto delle «procedure previste da contratti o accordi collettivi», dovendosi limitare il controllo, da parte della direzione territoriale del Lavoro (Dtl), alla sola autenticità dell’atto depositato in base all’articolo 411 del codice di procedura civile. L’opposizione dell’organizzazione sindacale non è stata tuttavia condivisa dal ministero, il quale ha precisato che il collegamento fra il momento del deposito e quello di una verifica del rispetto delle procedure di fonte contrattuale collettiva è stato già oggetto della lettera circolare 1138/1975 dello stesso ,che mantiene la sua validità anche in relazione all’attuale diverso contesto, con il quale è stato espunto dall’articolo 410 il richiamo esplicito alle «procedure di contratto o accordo collettivo». Anzi, tale collegamento, nel mutato contesto, è risultato maggiormente incisivo se si esamina il contenuto dell’articolo 412-ter del codice di procedura civile, il quale fa esplicito riferimento a sedi e modalità «previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative». Pertanto, la modifica apportata dalla legge 183/2010 non ha comportato il venir meno della condizione espressa nella previgente formulazione, che impone il rispetto, in caso di conciliazioni sindacali, di procedure di fonte contrattuale collettiva, ma resta presente nell’ordinamento attualmente trasferita all’articolo 412-ter. Per adempiere a tale verifica, secondo la nota ministeriale, che fa sempre riferimento alla circolare del 1975, prevede che il direttore della Dtl possa richiedere alle parti sindacali di apporre sul verbale di conciliazione espressa dichiarazione di avere adottato le procedure previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni maggiormente rappresentative in base all’articolo 412-ter del codice di procedura civile. |